giovedì 21 giugno 2007

Gay Pride Roma 2007


Pubblichiamo un post scritto dal nostro amico Maxime, reduce dal Gay Pride di sabato scorso:

Sguardo sornione, chiaro intento pernicioso, puntuale come un equinozio, ecco farsi strada l’immancabile domanda sul senso di un orgoglio gay. Subito sull’attenti ci si prodiga lesti a sciorinare la pappardella da manuale per cui, in effetti, non si ha gran voce in capitolo sul proprio orientamento sessuale, ma si può scegliere se assecondarlo o meno, facendo invece sì di quella scelta un momento di cui essere “proud”. Eppure, seppur veicolato in tutt’altra direzione, il dubbio sulla validità civile e politica della manifestazione ha un suo perché.

Arroccato nell’autocelebrazione della propria ormai riconosciuta visibilità (conquista ormai decennale), il corteo romano si è snodato tra le vie capitoline scivolando inavvertito alla città, chiusa a sua volta dietro tapparelle abbassate e balconi deserti: un clown istericamente vivace e colorato, intento a ripassare la validità del proprio repertorio, indifferente alla possibilità di coinvolgere pure i passanti. Che c’erano, sparsi qua e là con digitali e usa e getta a immortalare qualche riuscita pacchianata. E ben vengano carrozzoni musica dance a palla, corpi nudi, parodie feroci e patchwork di vestiti marziani, purché il tono anarcoide vitalistico - in sé così dirompente - sia poi anche veicolo di messaggi, oltre che di folclore. I carri per lo più promuovono locali o si bardano di una delle mille tendenze del vasto mondo queer, ma rari sono quelli dei movimenti e ancor più quelli che propugnano un qualsivoglia messaggio compiuto.

Difficilmente inquadrabili poi anche gli interventi conclusivi in Piazza S, Giovanni dove invece di dar voce a una piattaforma politica da cui partire per legittime rivendicazioni, si è preferito un – sorprendente invero, visto il tendenziale doroteismo dell’arcigay – radicalismo seventies piuttosto strampalato con rivendicazioni anche “forti” quali l’autodetassazione e il disconoscimento dalla Repubblica per il mancato riconoscimento dei diritti invocati, interventi che però, fatto salvo qualche clamore demagogico, poco hanno costruito.

Quello di cui c’è bisogno è piuttosto il provocare indignazione feroce (a maggior ragione in quest’anno di disfatte continue) da sublimarsi in autentica militanza fattiva, uniche vere basi affinché una battaglia così ideologicamente ostacolata dalle fortissime componenti reazionarie del paese trovi autentica voce prima sui balconi e le terrazze delle città ospitanti, per poi trasferirsi sugli scranni del Parlamento senza scadere in proposte al ribasso.

Maxime

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