venerdì 29 giugno 2007

post-gay? la rivoluzione del desiderio


Esce in Francia in DVD La Révolution du désir - 1970: la libèration homosexuelle, film documentario di Alessandro Avellis e Gabriele Ferluga.

Ovvero di quando le lesbiche e i gay politicizzavano i loro corpi, i loro desideri, le loro storie per proporre idee alternative di società (e di quotidianità) e non inseguivano modelli conformisti e familistici: insomma quando si pensava che forse era meglio abbattere il diritto di famiglia che sposarsi!

Il film segue le tracce lasciate dal FHAR (Front Homosexuel d'Action Révolutionnaire) e dei suoi due animatori più originali Guy Hocquenghem e Françoise d'Eaubonne (tra l'altro teorizzatrice dell'ecofemminismo al centro di alcuni degli articoli dell'ultimo numero di Zapruder) attraverso interviste e materiali d'archivio dell'epoca.

La figura di Hocquenghem ricorda per certi versi (e soprattutto per i riferimenti intellettuali: Deleuze, Guattari, Foucault) quella di Mario Mieli (a questo proposito vi segnaliamo sempre su Zapruder l'articolo di Cristian Lojacono). Entrambi intellettuali raffinati e militanti, sono riusciti a dare valenza politica e sovversiva alle loro idendità, prima che l'AIDS e la vittoria definitiva della società dello spettacolo normalizzasse gay e lesbiche e li trasformasse in oggetti di marketing, soggetti di consumo e desiderosi di sacra famiglia.

Il film ha il pregio di riaprire lo schermo e la mente su un periodo e un tipo di riflessione che sembrano dimenticati e avrebbero bisogno invece di essere ritrovati per ricostruirsi una cassetta di attrezzi, utili alla sopravvivenza tra la melassa conformista veltroniana (ti dico? o non ti dico?) e la violenza flou berlusconiana.

p.s. - Il film Ma saison super8, sempre di Alessandro Avellis, versione narrativa delle vicende del FHAR e di Guy Hocquenghem e Françoise d'Eaubonne, si può vedere su www.tichofilm.com!



lunedì 25 giugno 2007

XXY

[Diretto da Lucìa Puenzo, Argentina, col, 91min, 2007]


Film d'esordio di Lucìa Puenzo, premiato alla Semaine de la Critique 2007, XXY racconta la storia di Alex, quindicenne ermafrodita che vive insieme ai genitori in un piccolo paese sulla costa uruguaiana.

Alex è alle prese con il suo corpo in crescita e con la nuova posizione che questo esige nel mondo esterno. I genitori, disorientati, cercano di capire cosa sia meglio per Alex. Da Buenos Aires arriva una coppia di amici con il figlio adolescente. Il padre è un chirurgo specializzato nel rimuovere "anormalità" fisiche. Li ha chiamati la madre di Alex convinta che sia arrivata l'ora della scelta definitiva. Alex erra tra le dune di sabbia e il bosco che circonda la sua casa, senza meta, è aggressiva, è dolce, cerca affetto anche attraverso il corpo che sta crescendo. Trova la morbosa curiosità che si riserva alla non normalità. Ma trova anche la forza di opporsi alla mutilazione normalizzante. Decide di non decidere, anzi decide di lasciare che le cose stiano così, di seguire il percorso che il suo desiderio le sta indicando.

Film intelligente e complesso: interessante riflessione su cosa sia normale e cosa no, interessante in epoca di family day e ossessioni ratzingeriane e margheritine; peccato averlo fatto uscire a fine giugno in sala, quando, o sei i Fantastici Quattro al multiplex, o ti vedono in dieci se sei fortunato.

Le immagini sono affogate in un azzurroverde un po' paludoso, un po' di moda tra i e le giovani registe, ma qua hanno probabilmente lo scopo di sur/realizzare la realtà e di rendere più grigia la normalità borghese (rappresentata dalla famiglia del chirurgo). I personaggi hanno potenzialità non sfruttate (a parte Alex e il padre, incontestabili protagonisti del film) e la regia ha dei momenti di impasse abbastanza forti. E tuttavia non puoi fare a meno di riflettere durante e dopo il film, di farti toccare dalla forza degli occhi di Alex (Inés Efron) inquieti, spaventati, fragili e decisi.

Link:
xxylapelicula.com [official site]

domenica 24 giugno 2007

Il Libano alla Biennale


A partire da questo mese fino alla fine di settembre, la 52. Esposizione Internazionale d'Arte della Biennale di Venezia ospiterà l'opera di un artista a noi molto caro: il libanese Akram Zaatari, di cui TichoFilm vi offre due documentari visualizzabili in streaming sul nostro sito: Majnounak (Pazzo di te, 1997) e Shou Bhebbak (Come ti amo, 2001).

Celebre filmmaker, videoartista e fotografo di Beirut, Zaatari utilizza brillantemente tanto il video quanto la fotografia per indagare le condizioni politiche e sociali del dopoguerra nel suo Paese e avviare una fondamentale riflessione sulla nozione di identità mediata dallo strumento artistico: tematiche quali la sessualità, i ruoli sociali e la memoria rappresentano nella sua opera il passaggio obbligato attraverso il quale si ridefinisce il passato e il presente di una cultura millenaria.

Zaatari è anche tra i fondatori della Fondation Arabe pour l’Image, un’organizzazione no-profit che si propone di raccogliere e presentare la produzione fotografica commerciale del Medio Oriente dal XIX° secolo fino ad oggi. A dieci anni dalla nascita, la fondazione oggi possiede più di 70.000 immagini e rappresenta non solo un importante punto di riferimento per l’arte araba contemporanea ma anche una particolare prospettiva di studio per il mondo occidentale, abituato sempre di più a pensare alla cultura musulmana in termini di violenza e brutalità. Il ruolo della fondazione, infatti, non è solo quello di collezionare le immagini del passato, ma anche e soprattutto quello di ri-contestualizzarle nel presente per svelarne i significati nascosti e ridefinirne il valore attraverso lo sguardo della contemporaneità.

In questo senso, il cinema per Zaatari non è altro che il naturale prolungamento dell’immagine fotografica e i suoi due documentari, Majnounak e Shou Bhebbak, proseguono la sua personale riflessione sui modelli della società libanese contemporanea: entrambi i film presentano delle interviste ad alcuni giovani libanesi che raccontano davanti alla macchina da presa il proprio modo di vivere il corpo e i rapporti di coppia: gli uni rivelano ingenuamente la violenza degli archetipi maschili riguardanti la sessualità e l’influenza della nuova società dei consumi; gli altri, omosessuali in una società in cui l’omosessualità viene punita con la prigione, confessano i propri desideri più intimi e nascosti.

Due eccellenti testimonianze provenienti da un mondo pressochè sconosciuto, il Libano, molto diverso dall'immagine che ci propinano i media. Qui sotto troverete un video di YouTube dove potete ascoltare il regista in persona, ospite di una passata edizione del festival brasiliano Videobrasil di São Paulo.
Buone visioni!



giovedì 21 giugno 2007

Gay Pride Roma 2007


Pubblichiamo un post scritto dal nostro amico Maxime, reduce dal Gay Pride di sabato scorso:

Sguardo sornione, chiaro intento pernicioso, puntuale come un equinozio, ecco farsi strada l’immancabile domanda sul senso di un orgoglio gay. Subito sull’attenti ci si prodiga lesti a sciorinare la pappardella da manuale per cui, in effetti, non si ha gran voce in capitolo sul proprio orientamento sessuale, ma si può scegliere se assecondarlo o meno, facendo invece sì di quella scelta un momento di cui essere “proud”. Eppure, seppur veicolato in tutt’altra direzione, il dubbio sulla validità civile e politica della manifestazione ha un suo perché.

Arroccato nell’autocelebrazione della propria ormai riconosciuta visibilità (conquista ormai decennale), il corteo romano si è snodato tra le vie capitoline scivolando inavvertito alla città, chiusa a sua volta dietro tapparelle abbassate e balconi deserti: un clown istericamente vivace e colorato, intento a ripassare la validità del proprio repertorio, indifferente alla possibilità di coinvolgere pure i passanti. Che c’erano, sparsi qua e là con digitali e usa e getta a immortalare qualche riuscita pacchianata. E ben vengano carrozzoni musica dance a palla, corpi nudi, parodie feroci e patchwork di vestiti marziani, purché il tono anarcoide vitalistico - in sé così dirompente - sia poi anche veicolo di messaggi, oltre che di folclore. I carri per lo più promuovono locali o si bardano di una delle mille tendenze del vasto mondo queer, ma rari sono quelli dei movimenti e ancor più quelli che propugnano un qualsivoglia messaggio compiuto.

Difficilmente inquadrabili poi anche gli interventi conclusivi in Piazza S, Giovanni dove invece di dar voce a una piattaforma politica da cui partire per legittime rivendicazioni, si è preferito un – sorprendente invero, visto il tendenziale doroteismo dell’arcigay – radicalismo seventies piuttosto strampalato con rivendicazioni anche “forti” quali l’autodetassazione e il disconoscimento dalla Repubblica per il mancato riconoscimento dei diritti invocati, interventi che però, fatto salvo qualche clamore demagogico, poco hanno costruito.

Quello di cui c’è bisogno è piuttosto il provocare indignazione feroce (a maggior ragione in quest’anno di disfatte continue) da sublimarsi in autentica militanza fattiva, uniche vere basi affinché una battaglia così ideologicamente ostacolata dalle fortissime componenti reazionarie del paese trovi autentica voce prima sui balconi e le terrazze delle città ospitanti, per poi trasferirsi sugli scranni del Parlamento senza scadere in proposte al ribasso.

Maxime

lunedì 18 giugno 2007

Vier Minuten (Quattro minuti)

[Diretto da Chris Kraus - Germany, col, 112 min, 2006]


È frustrante andare al cinema quando si hanno delle aspettative e ritrovarsi poi delusi e anche un po' arrabbiati per un film che non ti è piaciuto.
Quattro minuti è un altro film tedesco della nostra stagione cinematografica, arrivato da noi dopo il ben più felice Le vite degli altri, sull'onda di un nuovo Neue Deutsche Kino che, almeno nelle intenzioni, dovrebbe portare una ventata d'aria fresca al cinema tedesco contemporaneo. Pensiamo, ad esempio, ai più o meno recenti Good Bye Lenin, La Rosa Bianca. Sophie Scholl oppure a La caduta. Gli ultimi giorni di Hitler. Comune a tutti questi film, sembra, è la volontà di raccontare la storia della Germania da un altro punto di vista, di rimettere in gioco non solo il passato nazista ma anche quello più recente della DDR, con un cinema costruito essenzialmente sui personaggi, sulle piccole vite individuali in rapporto con l'identità storica e politica del Paese.

Quattro minuti aspira a raggiungere lo stesso obiettivo, peccato però che finisca per cadere miseramente nel didascalismo e nelle ben note categorie del bene e il male. In breve, è la storia di Traude Kruger, un'anziana donna che impartisce lezioni di pianoforte presso il carcere femminile di Luckau. Un giorno la signora Kruger si imbatte in Jenny, una giovane donna dal talento musicale straordinario che riesce comunque ad esprimersi malgrado l'estrema aggressività fisica. Sullo sfondo c'è il passato violento di Jenny e i ricordi dolorosi di Traude, il nazismo e l'amore proibito per un'altra donna uccisa durante la guerra.

Segue una trama intricatissima, dove il passato e il presente si intrecciano in un modo piuttosto ingenuo, mentre i personaggi restano poco credibili e stereotipati. Le guardie del carcere sono cattive, il genio è sempre incompreso, essere lesbica è un problema. In particolare, è quest'ultimo punto una delle cose meno riuscite del film: ormai persi nell'ansia di una narrazione sempre più pesante e inconsistente, non si capisce dove il regista voglia andare a parare e il presunto lesbismo della signora Kruger resta di fatto un elemento di contorno, un particolare piccante del suo passato che stenta a trovare un'autentica relazione con l'esperienza del presente. Aiutateci voi a capirne il senso, se l'avete colto!

Mentre aspettiamo fiduciosi un film che ci dica qualcosa di veramente nuovo...

Link:
http://www.vierminuten.de [official site]